Non aprite quella porta!

di Bruno Zotti – RCDD

Ancora una volta voglio divertirmi a trovare nel mondo della cinematografia un titolo che si adatta perfettamente all’articolo che state per leggere. Molti di voi si ricorderanno del famoso film horror (in inglese “The Texas Chainsaw Massacre”), se non altro per sentito dire. Personalmente non amo questo genere per cui il film non l’ho visto, ma sono sicuro che quello che sto per raccontarvi può provocare se non terrore, quantomeno sbigottimento per i fatti descritti e le loro possibili conseguenze. Ma qual è la porta non che non si deve aprire? Mi riferisco a quella dei cosiddetti ‘locali tecnici’ che spesso, ammesso che siano presenti, purtroppo nascondono molti errori (e a volte ‘orrori’!) sia dal punto di vista strettamente estetico che dal punto di vista funzionale e, quel che è peggio, anche dal punto di vista della sicurezza per gli impianti e soprattutto per le persone. Leggendo C&W siete abituati a ragionare su realizzazioni fatte nel migliore dei modi, a vedere immagini di data-center, armadi ed altri elementi dei sistemi di cablaggio che possono considerarsi delle vere e proprie opere d’arte: potete trovare articoli che forniscono suggerimenti in questa direzione in ogni numero della rivista.

Questa volta invece l’argomento è di tutt’altro tono: serviranno stomaci forti, vedrete veri e propri scempi realizzativi e creature tecnologiche che, nate magari nel migliore dei modi, nel tempo, sono state mutilate, devastate e trasformate in mostri, proprio come avviene nei film dell’orrore. Purtroppo non si tratta di uno scherzo: basta frequentare per un po’ di tempo i locali tecnici di molte aziende, indipendentemente dalla loro criticità e dalle dimensioni e, prima o poi, ci si imbatte inevitabilmente in questo tipo di situazioni. Per chi, come noi lavora da decenni nel settore e si è sempre battuto per la realizzazione di impianti ben progettati, attentamente realizzati e rigorosamente conformi agli standard, la frequenza con cui si riscontra questa triste realtà provoca un certo scoraggiamento: sembra quasi che tutti i corsi, seminari, raccomandazioni dispensate in tutto questo tempo non abbiano lasciato grande traccia. Eravamo molto in dubbio se pubblicare un articolo di questo genere, per evitare che qualcuno potesse risentirsi del tono con cui trattiamo l’argomento. Intendiamoci: non è con spocchia o dall’alto di un fantomatico pulpito che ci permettiamo di criticare sprezzantemente a destra e a sinistra. Al contrario, con spirito di servizio, riteniamo di offrire utili spunti per imparare dagli errori che si incontrano nel mondo reale e cercare di apprendere come evitarli, per migliorare progressivamente l’efficienza di progettisti, tecnici e manutentori. Abbiamo deciso dunque di procedere in questo piccolo viaggio nel mondo delle cattive realizzazioni, per discutere alcuni esempi negativi particolarmente diffusi e significativi. Saremo ironici, un po’ sarcastici e severi, anzi spietati! Tutte le foto che vedrete sono rigorosamente vere, cioè sono state scattate in impianti realmente funzionanti e non create artificialmente a scopo dimostrativo; ovviamente abbiamo omesso nomi e riferimenti e se qualcuno dovesse riconoscere un proprio impianto o una propria realizzazione spero che accetti con serenità le critiche e le osservazioni mosse nell’articolo e ne tragga delle informazioni utili per ridurre i problemi già esistenti ed elevare le proprie competenze in prospettiva futura.

Premetto, per incominciare, che è bene fare una precisazione per difendere la categoria degli installatori dal rischio di critiche indiscriminate: spesso infatti gli impianti ‘nascono’ bene, o perlomeno vengono realizzati seguendo correttamente le indicazioni del progettista (quando ci sono: purtroppo, infatti, non sempre esiste un vero progetto!… ) oppure secondo le richieste del cliente. Nel tempo però le attività di ‘manutenzione’ possono stravolgere completamente il progetto iniziale e l’imperizia nei successivi interventi, sommata ad intrusioni di persone non competenti, non autorizzate o semplicemente molto disordinate, spesso trasforma un buon impianto di cablaggio o un rack allestito in modo corretto ed ordinato, in una creatura orrenda che provoca incubi al responsabile delle infrastrutture di rete… sempre che abbia avuto mai il coraggio di aprire ‘quella porta’! A parte le battuta di soggetto cinematografico questo è un altro dei grossi problemi: sovente i responsabili ICT o semplicemente i responsabili di uffici tecnici e/o manutenzioni non ‘aprono mai quella porta’ e non controllano cosa succede nei locali tecnici e all’interno degli armadi rack di rete. Possiamo quindi affermare che l’involuzione e il degrado dei centri-stella, che sono i punti di amministrazione dell’infrastruttura di rete, risultano anche essere una diretta conseguenza dell’assenza o della carenza di controllo da parte dei supervisori, un’attività che al contrario per essere efficace dev’essere scrupolosa e sistematica.

Cominciamo subito con un esempio: nelle due foto successive si può notare un locale tecnico con i relativi armadi appena installati (Figura 1) e nella seconda foto (Figura 2) a soli due anni di distanza, la terribile trasformazione di una buona realizzazione in una creatura orribile ed indefinibile.

Figura 1 – Documentazione fotografica dello stato dei rack pochi giorni dopo l’installazione 

Figura 2 – Gli stessi rack ripresi dopo circa due anni dall’installazione

Non servono ulteriori commenti a queste immagini: nella prima si può riscontrare una buona organizzazione dell’installazione e dei componenti nei rack: niente di straordinario ma è evidente un’esecuzione ordinata e ben organizzata. La seconda foto dimostra come l’incuria e la mancanza di professionalità di chi ha eseguito i successivi interventi abbia totalmente stravolto l’impostazione iniziale. Il livello di disordine e negligenza di chi ha operato si può notare da alcuni semplici ma significativi particolari. Osserviamo che sono stati rimossi i coperchi delle canaline passacavi: probabilmente chi ha eseguito le permute riteneva un’inutile perdita di tempo far passare in modo ordinato i cavi nelle canaline e nei cable-organizer ed ha preferito lasciare frettolosamente le patch-cord così come capitava. Il risultato è purtroppo molto eloquente e siamo certi che chiunque osservi le due foto rimanga immediatamente colpito dalla sensazione di caos. Attenzione, non si tratta soltanto di un problema estetico: al contrario, una massa di cavi così disordinata provocherà certamente, nel tempo, una serie disservizi poiché i connettori delle patch-cord soggetti al peso del groviglio di cavi, non più sostenuti dagli appositi passacavi, possono portare a falsi contatti ed arrivare anche a danneggiare in modo irreversibile i jack RJ45 dei pannelli e, ancor peggio, degli apparati di rete. Ancora più significativi sono i danni dovuti alle perdite di tempo che si assommano inevitabilmente ad ogni intervento eseguito in simili condizioni: minuti persi per ogni singola operazione di aggiunta, rimozione o spostamento di bretella. Come si può, dunque, evitare una situazione del genere? Sicuramente uno dei maggiori problemi è la combinazione di incompetenza e mancanza di disciplina da parte dei tecnici addetti a queste operazioni, che spesso utilizzano la scusa del poco tempo a disposizione per giustificare modalità operative non professionali. Ora c’è anche da dire che la gestione e l’amministrazione di un sistema di cablaggio sono fra le materie su cui alla prova dei fatti si riscontra la maggiore carenza di competenza: basti vedere come sono numerate ed etichettate prese e pannelli in molti impianti – un vero e proprio rompicapo per chi deve tentare di ‘indovinare’ la corrispondenza tra le porte dei pannelli e le prese nelle postazioni di lavoro. Eppure esistono diversi standard internazionali che si occupano di questo argomento: solo che, ahimè!, vengono per lo più beatamente ignorati. Ora fermiamoci qui … non è il caso di affondare ulteriormente il coltello nella piaga.

Passiamo ad un altro ‘capolavoro’ …

Figura 3 – Capolavoro numero 1 …

Diamo un’occhiata al rack di Figura 3, sicuramente installato da parecchi anni dal momento che si intravedono delle MAU (Media Access Unit) un tipo di apparato tipico delle reti Token Ring (IEEE 802.5) ormai in disuso e largamente soppiantate dalle reti Ethernet. Si può osservare, con un po’ di attenzione, la presenza di una MAU di prima generazione, ancora dotata dei vecchi connettori ermafroditi IBM Cabling System che erano collegati con i vecchi cavi IBM tipo 1 costituiti da 2 coppie schermate, sezione 22 AWG di rame pieno ed impedenza di 150 ohm. Qualcuno dei nostri lettori che ha superato i vent’anni di lavoro nel settore li ricorderà come un piccolo incubo per la loro difficoltà di posa a causa delle notevoli dimensioni e rigidità. In figura si nota anche una MAU di seconda generazione che usa i connettori RJ45 e permette il collegamento usando cavo UTP o STP di Categoria 3 o Categoria 5.

Bene, le vecchie e gloriose MAU sono ormai dei veri e propri cimeli, oggetti di antiquariato che non dovremmo più incontrare da tempo; e, infatti, salvo rarissimi casi in cui viene mantenuta in funzione una rete Token Ring per motivi di servizio, si tratta semplicemente di oggetti letteralmente abbandonati, che occupano inutilmente spazio (e consumano energia) e, con i loro collegamenti, contribuiscono al caos dei vani di amministrazione della rete. Nel caso mostrato in Figura 3 la MAU tutt’al più può avere la funzione di mensola per reggere gli apparati soprastanti …

Quando abbiamo scelto la foto ci siamo chiesti cosa può essere successo a chi ha installato il router che si vede in equilibrio precario all’interno dell’armadio: forse in quel momento ha dovuto abbandonare di corsa il locale per un urgente bisogno e poi si è dimenticato di tornare? Anche in questo frangente ricorriamo ad un pizzico d’ironia per non deprimerci oltre misura nel commentare lavori eseguiti così male. Il router che si vede nella foto è di vitale importanza per la sede in cui si trova, poiché collega i link geografici che realizzano la VPN con il quartier generale dell’azienda. Non pensiate che situazioni di questo genere si vedano solo in aziende piccole o con pochi fondi a disposizione – ve ne sono alcune dotate di impianti a regola d’arte! – o di organizzazioni prive di personale tecnico interno. La foto è stata scattata nella sede periferica di una grossa multinazionale che conta nelle sue sedi centrali decine di addetti ICT più altre decine di persone che si occupano genericamente di “ufficio tecnico” e “gestione impianti tecnologici”. Allora i casi sono due: o questi signori non hanno mai visitato la sede periferica di Fig. 3 oppure, ma ci auguriamo di no, hanno una concezione molto particolare di ‘corretta installazione’ di apparati in un rack. Il router è in equilibrio precario e qualsiasi piccolo movimento potrebbe farlo cadere e far staccare di conseguenza i cavi di collegamento alla LAN o addirittura il cavo di alimentazione, ogni ulteriore commento lo lasciamo a voi lettori, magari potremmo organizzare un “campionato” degli orrori… ma forse sarebbe meglio, al contrario, lanciare un concorso per le migliori immagini di impianti ben realizzati, così… per confortarci sul fatto che ci sono anche tanti professionisti e imprese che forniscono impianti realizzati a regola d’arte!

Molti locali tecnici, dunque, diventano ‘stanze degli orrori’ con il passare del tempo perché abbandonati e sé stessi e soggetti a interventi indiscriminati, non qualificati, non pianificati e fuori controllo. A questo punto la frase “non aprite quella porta” può assumere un altro significato ben preciso: “non fate entrare chiunque” nei locali tecnici o perlomeno seguite accuratamente il lavoro che svolgono, cosa modificano nel rack e soprattutto pretendete foto che documentino in dettaglio lo stato dell’impianto prima e dopo l’intervento: pochi secondi per produrre prove chiare e inconfutabili di ogni eventuale errata pratica di installazione. Considerato che nelle sedi remote non sempre i tecnici o i responsabili ICT sono presenti, la documentazione fotografica rappresenta un metodo semplice ed efficace per tenere traccia nel tempo dell’evoluzione dei punti critici degli impianti e un utile punto di partenza per successivi interventi ma anche per rimediare a problemi o a fronte di eventuali contestazioni. In aggiunta alle immagini, suggeriamo di fare sempre compilare un rapporto di intervento in cui siano chiaramente indicati tutti i dettagli dell’intervento tecnico (nome del tecnico, materiali installati, attività eseguite, eventuali prove e risultato dei collaudi, ecc.). Ancora meglio sarebbe tenere un vero e proprio registro di accesso ai locali tecnici per documentare persone, attività ed ogni altra informazione utile per mantenere aggiornato il “diario di bordo” del locale tecnico. Negli impianti più critici, compatibilmente con il rispetto delle leggi sulla privacy, è opportuno, se non indispensabile, prevedere in dotazione un impianto di videosorveglianza.

Figura 4 – Spesso ci si arrangia come si riesce …

Il rack di Figura 4 è una perla di praticità – si fa per dire. Non c’era più spazio nel rack? Tranquilli, niente panico, nessun problema: uno scatolone davanti al rack e … oplà: come per incanto si possono installare i nuovi switch che prima non trovano spazio! (di casi come questi ne potremmo illustrare a decine)

La situazione che documentiamo in Figura 5, però, credo che superi ogni possibile fantasia sulle perversioni in fase di installazione!…

Figura 5 – Non c’è limite al peggio …

Le borchie ISDN si fissano al muro? Si fissano a qualche supporto? Mai! Si lasciano penzolanti appese con i loro cavi di connessione, è un buon test per verificare la robustezza dei cavi. Una situazione del genere, ripetiamo, non è stata creata ad arte per fare la foto e destare impressione in voi lettori, è purtroppo una realtà cui ci siamo trovati di fronte durante un recente sopralluogo. Le borchie ISDN che si vedono penzolanti e trattenute dai loro stessi cavi di connessione sono state abbandonate proprio nel modo che vedete. C’è da domandarsi come possa un tecnico/installatore eseguire un lavoro in questo modo. La prima cosa che viene in mente è che non c’è stato alcun controllo sul suo operato: immagino che nessuno fra i lettori accetterebbe un risultato del genere se si trattasse del proprio impianto. Ci permettiamo di affermare che l’autore del lavoro di Figura 5 non ha probabilmente alcun orgoglio professionale o reputazione da difendere, né la minima preoccupazione per l’eventuale giudizio sul suo operato: certamente la consegna di impianti in condizioni simili è gravemente dannosa per l’immagine dell’azienda per cui lavora. Difficile individuarne con certezza le ragioni, d’altra parte riteniamo anche giusto segnalare che negli ultimi anni c’è stata una spaventosa corsa al ribasso sui compensi pagati a chi svolge questo tipo di attività. L’installazione di borchie ISDN è un lavoro normalmente svolto da imprese subappaltatrici delle compagnie telefoniche che riducono ogni anno i listini per le prestazioni tecniche. Certo ora non vogliamo giustificare in pieno un simile scempio con il ridotto compenso che ricevono gli installatori di turno, ma è importante tenere presente che un’eccessiva corsa al ribasso di certi prezzi può portare a pericolosi cali nella qualità dei lavori eseguiti. Per contro, il committente/proprietario dell’impianto ha evidentemente contribuito, da parte sua, con una buona dose di negligenza in fase di controllo e verifica. Semplicemente non è possibile accettare dei lavori eseguiti in modo tanto sciatto e diametralmente opposto a qualsiasi elementare regola d’arte e norma tecnica: con un minimo di attenzione si deve procedere ad un’immediata e documentata contestazione in modo che l’intervento venga rifatto secondo i giusti canoni.

Continuiamo a parlare di borchie ISDN con un altro esempio di cattiva installazione e negligenza sul piano energetico ed ecologico. Vi starete chiedendo cosa vuol dire questa frase? Da diversi anni la telefonia si sta evolvendo verso soluzioni VoIP (Voice over Internet Protocol) abbandonando quindi le tradizionali linee telefoniche RTG (Rete Telefonica Generale) o ISDN (Integrated Services Digital Network). Cosa succede quando si passa da rete di generazione precedente ad una rete VoIP? Molto complesso da descrivere in tutti i suoi passi ma non è lo scopo dell’articolo: ci limitiamo ad interessarci agli apparati che vengono dismessi con il passaggio dalla telefonia POTS (Plain Old Telephone Service) al mondo VoIP. Normalmente vengono dismesse le linee telefoniche tradizionali e talvolta anche il centralino e la rete telefonica interna. Concentriamoci un attimo sulle borchie ISDN per proporre un semplice, ma illuminante, esempio (è proprio il caso di dirlo, come capirete tra poco … )

Figura 6 – Uno splendido esempio di modernariato telefonico …

Ecco un’altra porta che era meglio non aprire, ci troviamo di fronte (Figura 6) ad un vecchio impianto telefonico – abbandonato – che occupa inutilmente e disordinatamente quasi l’intera parete di un locale tecnico, e non è questo il problema peggiore. Osservate le borchie ISDN: nessuna di esse ha l’interfaccia U attiva (risultano infatti disattivate) e se qualcuno ha ancora qualche dubbio basta notare come non ci sia alcun cavo collegato alle porte delle interfacce S0: si tratta in definitiva di dispositivi assolutamente inutili. Pe contro, ben tre borchie sono tutt’ora alimentate. Facciamo qualche semplice conto: ogni borchia ISDN assorbe a riposo circa 22 VA che in un anno assommano a circa 190 kWh e probabilmente l’impianto della foto è dismesso da qualche anno… per esempio, in tre anni, abbiamo uno spreco di energia elettrica di oltre 500 kWh per ogni borchia ISDN ! Se poi spingiamo il ragionamento al di là dei meri termini economici legati al considerevole spreco di energia protratto nel tempo, dobbiamo anche considerare l’inquinamento prodotto inutilmente. Se consideriamo attendibili i fattori di conversione che ci fornisce l’Autorità Italiana per l’Energia (dati reperibili su www.autorita.energia.it) si può prendere come riferimento l’equivalenza che considera per ogni MWh di energia elettrica prodotta il consumo di 0,187 TEP (Tonnellata Equivalente Petrolio) per la sua generazione nelle centrali elettriche nazionali. Purtroppo soltanto pochi responsabili tecnici provvedono sistematicamente a disconnettere tutti gli apparati in disuso per evitare le conseguenze in termini di spreco di energia, sperpero di denaro e inutile appesantimento dell’impatto ambientale. Una costante ispezione dei locali tecnici permetterebbe invece di risparmiare energia elettrica e ridurre l’inquinamento globale con un semplice controllo/inventario degli apparati non più utilizzati. Questi, una volta dismessi, devono essere scollegati dalla rete elettrica, smontati dal rack o dalle pareti/supporti a cui sono fissati e restituiti, se richiesto, oppure correttamente smaltiti o rivenduti ad aziende specializzate nel loro recupero e rigenerazione. Talvolta non solo le borchie ISDN sono lasciate accese per anni dopo la loro dismissione ma anche apparati ben più voraci di energia come ad esempio i router di vecchia generazione, spesso caratterizzati da consumi elevati e da una forte dissipazione di calore. Analizzando ad esempio le caratteristiche di un router diffusissimo, fra i più venduti fino a qualche anno fa, ora fuori produzione, scopriamo che a fronte di un consumo medio di 200 W, tale dispositivo solo per stare acceso e tenere alimentati moduli interni (condizioni di Stand by) dissipa circa 500 BTU/ora. Il tutto ovviamente va a incidere sul dimensionamento di climatizzazione del locale tecnico e quindi provoca ulteriori aumenti di consumo energetico.

Fatto un doveroso cenno all’importante aspetto dello spreco energetico, passiamo a considerare qualche altro significativo esempio di cablaggio mal realizzato. Uno fra i più frequenti e gravi errori che si possono compiere in fase di progettazione è la sottostima e quindi il sottodimensionamento dello spazio nei rack. Spesso succede che gli armadi vengono predisposti con un esiguo numero di unità libere aggiuntive, quando addirittura non viene previsto il 100% di riempimento iniziale. In molti casi rappresenta un errore anche la scelta di armadi con una larghezza di soli 600 mm negli impianti di medie e grandi dimensioni, quando i volumi di cablaggio sono (molto) consistenti e la frequenza delle riconfigurazioni, su base statistica, risulterà più elevata rispetto ai piccoli impianti. Al contrario l’adozione di armadi da 800mm o, in alternativa, forniti di elementi guida-cavi verticali di adeguata ampiezza, consentirebbe una più ordinata e rapida disposizione delle bretelle di permutazione con un ridotto impatto di incertezze ed errori. Osservate la foto di Figura 7 e credetemi: non si vedono, ma sotto quella fitta cascata di bretelle ci sono gli apparati attivi di rete; di certo non invidio chi deve eseguire operazioni di riconfigurazione della rete o semplicemente verificare lo stato di funzionamento degli apparati tramite i led frontali. Ora provate ad immaginare l’enorme differenza che avrebbe fatto un rack con larghezza 800 mm con i due montanti passacavi laterali, anche nel caso di permute non eseguite nel migliore dei modi, il frontale del rack risulterebbe molto più sgombro e gli apparati, perlomeno, risulterebbero visibili.

Figura 7 – Un dubbio atroce: ma dietro, gli switch, ci sono davvero ?

Credo che la breve panoramica di esempi, tratti dall’esperienza quotidiana, che abbiamo esaminato fino a questo punto sia sufficiente per dare un’idea di quanto siano diffusi e insidiosi i casi di pessima qualità della progettazione e installazione di infrastrutture cablate. Vorrei concludere con un argomento che ritengo particolarmente delicato ed importante, sia sotto il profilo tecnico che per le conseguenze amministrative e legali. Mi riferisco agli aspetti legati alla sicurezza che, essendo dipendenti da una moltitudine di fattori, sono anche fortemente connessi alla qualità delle procedure e delle metodologie adottate nel progettare, realizzare e collaudare i sottosistemi di cablaggio strutturato e gli elementi ad essi correlati. In particolare nei vani tecnici che, lo ribadiamo, sono i centri nevralgici del sistema ma anche i punti nei quali avviene l’interazione con l’operatore umano, carenze nel rispetto dei dettami tecnici e normativi possono comportare inaccettabili rischi per la sicurezza degli ambienti e per l’incolumità delle persone, anche quando si trovano a distanza dal punto incriminato.

Proviamo anche qui a farci capire meglio portando alcuni esempi rappresentativi di situazioni nelle quali ci siamo recentemente imbattuti.

Figura 8 – Ma che cos’è questo: un locale tecnico o lo sgabuzzino per le scope ?

Forse osservando la foto di Figura 8 vi chiederete se non potevamo scegliere una foto migliore, dove almeno la porta fosse ben aperta per lasciarci vedere bene all’interno. Invece il nocciolo della questione è proprio questo, il locale tecnico è stato ingombrato di tanti e tali oggetti estranei alla sua funzione che la porta neppure si apre correttamente! Nel locale si possono facilmente notare oggetti depositati di vario tipo: passi per la scaletta che potrebbe anche servire al locale tecnico (in ogni caso si tratta di un modello non in linea con le norme), ma troviamo accatastate anche vecchie stampanti, un bidone di recupero dei toner esausti, immondizie e cartacce di vario genere, materiali per la pulizia ed altri oggetti eterogenei (nella foto non si vede nemmeno tutto!), tanto da rendere difficile non solo l’accesso ma addirittura l’individuazione stessa dell’armadio rack. Che dire poi del ‘locale tecnico’ di Figura 9 dove è stato addirittura parcheggiato uno scooter! Forse appartiene del tecnico ICT che così si può muovere più rapidamente per gli interventi di assistenza sulla rete?

Figura 9 – Ed ecco a voi … il locale tecnico con scooter (di servizio?) incluso

Abbiamo tenuto come ultimo esempio un rack terrificante dal punto di vista della sicurezza per le persone: per la verità in questo caso non si può nemmeno parlare di ‘vano tecnico’ dato che l’armadio è posizionato in un corridoio di passaggio tra i locali operativi ed i servizi igienici della sede in esame.

Figura 10 – E… oplà ! Alcuni apparati in equilibrio instabile sopra il rack

Non ci sono parole sufficienti per esprimere tutto lo stupore di trovare, in un ambiente dove c’è frequente passaggio di persone, un oggetto molto pesante (il router nella foto pesa circa 6 kg) con spigoli metallici vivi che possono provocare gravi lesioni alla persone in caso di eventuale caduta dell’oggetto. Il router non solo non è ancorato in alcun modo ma, essendo più largo del rack, sporge per una buona parte ed in più sopra sono appoggiati, sempre senza alcun fissaggio, altri apparati.

Tralasciando ogni commento sul piano dell’organizzazione, della funzionalità del sistema e dell’estetica (che, in quanto strettamente correlata all’ordine e alla razionalità, non è un fronzolo ma un elemento integrante della qualità realizzativa), dato che abbiamo già avuto modo di sottolineare questi aspetti in precedenza, resta comunque scoperto un fattore fondamentale: ogni elemento estraneo, particolare se può contribuire direttamente o indirettamente all’aumento del carico d’incendio, non può e non deve mai essere presente all’interno di TR (Telecommunications Room – vano tecnico di piano) o ER (Equipment Room – vano tecnico di edificio); a questo scopo ogni vano tecnico dev’essere rigorosamente ed esclusivamente dedicato alla sua funzione, fornito di comandi e controlli gestibili solo dal suo interno e, accorgimento fondamentale, chiuso a chiave (con serratura meccanica o elettronica) ed accessibile soltanto da parte di personale autorizzato. Situazioni paradossali al limite della comicità, ma purtroppo autentiche – e perciò drammatiche – come quelle descritte poc’anzi, con la presenza di prodotti infiammabili (carburante, lubrificante), così come oggetti che intralciano il movimento all’interno del vano, occludono prese d’aria, generano inopinatamente calore, coprono e mettono a repentaglio la protezione di prese e dispositivi elettrici, costituiscono sempre gravi infrangimenti delle più elementari regole del buon senso, oltre che, ovviamente delle raccomandazioni tecniche e delle norma di legge. Chiunque abbia, a qualsiasi titolo, responsabilità a questo riguardo – progettista, installatore, amministratore, manutentore e, badate bene, sempre anche il titolare dell’impianto – è tenuto a verificare e far rispettare le regole e, almeno per quanto riguarda ogni aspetto legato alla sicurezza, ne risponde di fronte alla legge.

Concludiamo riassumendo un paio di concetti che rappresentano un po’ lo scopo di questa breve discussione: per quanto radicate e diffuse siano alcune (talora gravi) pratiche errate nella progettazione e realizzazione dei vani tecnici negli impianti di cablaggio strutturato, la loro causa è sempre una inadeguata preparazione tecnica eventualmente abbinata ad una carente condotta professionale: è sufficiente rivolgersi a professionisti preparati e seri per evitare alla radice qualsiasi rischio di incorrere in una delle situazioni appena descritte. Soprattutto quando entra in gioco la sicurezza, è necessario che tutte le persone/aziende coinvolte abbiano chiaro il proprio ruolo e responsabilità e nulla venga lasciato al caso: con adeguati, per lo più semplici, ma sistematici controlli durante e dopo la realizzazione dell’impianto, è sempre facilmente raggiungibile un livello quantomeno accettabile di conformità alle norme, per la sicurezza di chi dovrà convivere e operare con l’impianto e la tranquillità del proprietario.