Cablaggio in fibra a regola d’arte.

Come sfruttare le nuove tecnologie ed i più recenti standard per realizzare infrastrutture cablate in fibra ottica adatte per fronteggiare le sfide di oggi e di domani, senza spendere una fortuna

 di Mario Vellano, RCDD – SPRING

 

Introduzione

Abbiamo accennato in un precedente articolo a come sia spesso possibile raggiungere elevati standard di qualità nella realizzazione di un’infrastruttura di cablaggio senza incorrere in un eccessivo costo dell’investimento iniziale ed anzi, seguendo rigorosamente i dettami degli standard industriali che regolano il settore, adottando componenti di prima scelta e soprattutto applicando la nostra capacità di individuare ed esaltare le caratteristiche veramente importanti del sistema cablato in funzione delle reali esigenze del progetto, come si possa quasi sempre coniugare l’efficienza economica con prestazioni durature nel tempo.

Ci siamo soffermati in quell’occasione soprattutto sulle soluzioni, le scelte progettuali e gli accorgimenti riguardanti i sistemi di cablaggio in rame ed il primo livello dell’architettura standard, cioè la distribuzione orizzontale.

Adesso vogliamo proseguire il discorso entrando invece nel campo delle fibre ottiche, della loro applicazione nelle infrastrutture di cablaggio delle reti locali ed in particolare dei sottosistemi di dorsale, che rappresentano il terreno d’adozione naturale per i sistemi ottici. Anche qui ci poniamo l’obiettivo di mettere in evidenza alcuni aspetti cruciali per la qualità complessiva dell’infrastruttura che possono essere realizzati in maniera più che soddisfacente, anzi in modo davvero ottimale, senza per questo richiedere investimenti troppo onerosi ma al contrario conseguendo talvolta dei cospicui risparmi persino nel confronto con soluzioni di tipo tradizionale e meno performanti.

Scegliere la fibra ottica adatta 

È sufficiente esaminare alcuni impianti o consultare i cataloghi di qualche distributore di soluzioni cablate per rendersi conto di quanto ampia sia la varietà di offerta dei cavi e dei componenti per la fibra che il mercato mette a disposizione di progettisti ed installatori. Questa situazione è certamente un vantaggio non solo perché crea i presupposti per una reale concorrenza sia tecnica che economica fra i costruttori ma soprattutto perché ci offre la possibilità di trovare di volta in volta la combinazione di componenti più adatta per le diverse situazioni che dobbiamo affrontare. Oggi infatti in nessun caso siamo costretti a compromessi penalizzanti per le prestazioni della nostra infrastruttura quando ci apprestiamo a selezionare i cavi ed i componenti di connettività da impiegare nel nostro progetto; semmai qualcuno potrebbe avvertire il problema opposto e trovarsi in difficoltà nel districarsi fra tanti diversi prodotti, con il dubbio su quale sia l’impiego migliore per una determinata tipologia di materiale.

Cerchiamo allora innanzitutto di fare un po’ di chiarezza su questo punto tracciando il profilo del cavo ideale da impiegare nelle condizioni che incontriamo più frequentemente nella realizzazione di infrastrutture cablate per le reti locali, che sono:

  1. distribuzione dorsale all’interno degli edifici
  2. distribuzione dorsale di campus
  3. distribuzione di tipo centralizzato

Per incominciare osserviamo che per i cavi in fibra ottica possiamo distinguere nettamente fra le fibre ottiche propriamente dette, che costituiscono il mezzo trasmissivo, e gli elementi strutturali del cavo, che sostanzialmente servono da elementi di protezione: è utile distinguere fra queste due parti perché possiamo sceglierle in funzione delle nostre esigenze progettuali in modo sostanzialmente indipendente l’una dall’altra. Ad esempio possiamo decidere di optare per un cavo a 12 fibre multimodali di tipo OM3 sia in versione tight per impiego all’interno dell’edificio che in versione loose con armatura metallica per interramento diretto nei collegamenti fra un edificio e l’altro del nostro comprensorio, con la certezza di trovare entrambi i prodotti sul catalogo del nostro produttore di fiducia.

Di fatto definiamo il tipo di fibra ottica sulla base delle nostre esigenze funzionali come la larghezza di banda, la distanza massima supportata dalle applicazioni che è in grado di trasportare e sul tipo di transceiver – e perciò sulla fascia di costo delle apparecchiature di rete – con cui è in grado di operare; decidiamo anche il numero di tali fibre sulla base delle nostre stime riguardo al dimensionamento dei canali di comunicazione su ciascuna tratta dell’infrastruttura.

Per quanto riguarda invece la struttura esterna del cavo i criteri di scelta sono legati molto più strettamente all’ambiente fisico di impiego ed è soprattutto sotto questo profilo che valgono le distinzioni fra i tre tipi di sottosistemi che abbiamo accennato poco sopra. A questo proposito dobbiamo osservare che le caratteristiche che tipicamente richiediamo ad un cavo per l’impiego all’interno degli edifici sono quasi esattamente antitetiche rispetto a quelle che desideriamo da un cavo per impiego all’esterno.

Figura 1 – Struttura di un tipico cavo ottico (12 fibre) di tipo tight con guaina LSZH

Per un cavo indoor, infatti, è quasi sempre necessario adottare una guaina di tipo LSZH (Low Smoke Zero Halogen), cioè a bassa emissione di funi e gas, per ottemperare ai dettami delle norme sulla sicurezza; tale guaina non necessita di avere una particolare robustezza, anzi, desideriamo che non incida eccessivamente sulle dimensioni e sulla rigidità del cavo, per ragioni di ingombro nei passaggi e nelle canalizzazioni e per non costringerci a raggi minimi di curvatura troppo ampi. Vogliamo inoltre, per gli stessi motivi e per non gravare sui costi, che sia dotato di una protezione minima sufficiente a garantire l’integrità delle fibre al suo interno in un ambiente che di norma è ben sotto controllo: inutile utilizzare cavi con armatura se non verranno assoggettati a significativi stress meccanici o a rischi di attacco da parte di roditori. Nella maggior parte dei casi poi, per le dorsali di edificio, è preferibile impiegare cavi a costruzione tight, più semplice e ‘pulita’ in fase di preparazione e terminazione delle fibre. Questi cavi, per loro natura, non superano di solito il numero massimo di 24 fibre, perché risulterebbe difficile distinguerle sulla base della codifica dei colori. Questo fatto non costituisce una limitazione, come potrebbe sembrare, in quanto risulta molto più comodo collegare ogni coppia di cassetti ottici, fra ER (Equipment Room – Vano tecnico principale dell’edificio) e TR (Telecommunications Room – Vano tecnico di piano) con un proprio cavo, piuttosto che portare un cavo con un gran numero di fibre che devono poi essere suddivise fra più cassetti o fra più unità dello stesso cassetto.

Completamente opposti i requisiti che normalmente pretendiamo da un cavo che vogliamo utilizzare per collegamenti OSP (Outside Plant – Installazione all’esterno) di campus, che devono avere una guaina molto spessa e robusta, resistente agli agenti chimici, all’umidità ed anche alle radiazioni ultraviolette e che perciò sarà prevalentemente realizzata in PVC o HDPE.

Figura 2 – Struttura della guaina esterna in HDPE di un cavo ottico per impiego esterno (OSP)

A questa prima protezione si affianca sempre un’armatura che può essere di tipo interamente dielettrico oppure a struttura metallica, realizzata in alluminio o in acciaio come richiesto per fronteggiare le sollecitazioni meccaniche più severe, come possono essere gli assestamenti del terreno tipici delle installazioni per interramento diretto (direct burial) . La costruzione del cavo sarà quasi sempre di tipo loose, in configurazione mono-tubetto o multi-tubetto a seconda del numero di fibre ottiche da ospitare: questa soluzione consente un elevato grado di protezione delle fibre rispetto alle torsioni ed agli schiacciamenti del cavo, agli sbalzi termici e soprattutto contro l’umidità alla quale il biossido di silicio è fortemente sensibile.

Figura 3 – Struttura di un tipico cavo loose per impiego all’esterno a interramento diretto e per questo dotato di una robusta armatura in fili d’acciaio

Per ragioni che esamineremo meglio più avanti, e non soltanto legate al livello gerarchico più alto delle tratte ottiche di comprensorio, nei cavi OSP di campus si trova normalmente un numero di fibre più elevato che in quelli usati indoor e si preferisce utilizzare pochi cavi, al limite un solo cavo, contenente molte fibre, piuttosto che numerosi cavi.

Il cavo giusto al posto giusto

Alla luce di quanto detto, dovrebbe già essere chiaro che la selezione del giusto tipo di cavo permette non solo di conformarsi alle normative tecniche e sulla sicurezza ma di assicurare il miglior livello di protezione possibile alle fibre ottiche, senza però eccedere in precauzioni quando non siano strettamente necessarie.

Architettura e topologia delle dorsali ottiche

Probabilmente molti lettori hanno già confidenza con il modello canonico delle infrastrutture di cablaggio così come viene descritto dagli standard ANSI/TIA/EIA-568-C, ISO/IEC 11801 Ed. 2.1 e CEI/CENELEC EN 50173 e che per comodità comunque riportiamo in Figura 4.

Figura 4 – Architettura canonica a tre livelli della struttura di cablaggio secondo gli Standard ISO/IEC 11801 e CEI e CENELEC 50173

Indubbiamente questo schema riveste una grande importanza perché stabilisce un modello di riferimento che si adatta molto bene alla maggior parte delle situazioni concrete, offrendo contemporaneamente una piattaforma architettonica e topologica ed una nomenclatura, cioè un insieme di termini per definire i propri elementi costitutivi, condivisa da tutti.

Quello che però questo modello non dice è la modalità con cui si può implementare nel mondo reale, un terreno sul quale si gioca in larga misura l’effettiva validità, flessibilità e funzionalità di un’infrastruttura cablata. Mi spiego con un paio di esempi che riguardano nel primo caso l’ambito delle dorsali di edificio e nel secondo le dorsali di campus.

Dorsali di edificio: progettiamole bene

Abbiamo più volte sottolineato in altre occasioni che il traffico di informazioni sui segmenti dorsali di una rete è sempre più direttamente proporzionale al proprio livello gerarchico: in altre parole il volume di pacchetti di dati (e oggi qualunque tipo di informazione si trasmette in questa forma, telefonate, video, immagini, articoli di giornale, segnali d’allarme, … ) che mediamente transita su una tratta di dorsale, è a tutti gli effetti l’aggregato del traffico circolante sulla somme dei collegamenti di livello inferiore che ad esso fanno capo. E questo perché, salvo eccezioni, la quasi totalità del traffico di informazione originato dai singoli utilizzatori o ad essi destinato transita di fatto sulle dorsali: perché la maggior parte dei dati aziendali risiedono su dispositivi di storage centralizzati, perché molte applicazioni condivise dall’organizzazione ‘girano’ sui server, anch’essi per lo più centralizzati, perché una buona parte del traffico VoIP e di posta elettronica, ovviamente, tutto il traffico di informazioni scambiato con Internet viene smistato con il mondo esterno tramite un punto di accesso rigorosamente centralizzato e condiviso dall’organizzazione intera. E quindi tutte le volte che dalla mia scrivania invio un messaggio, accedo ad un informazione su Wikipedia piuttosto che sul sito di un fornitore, effettuo una chiamata Voice over IP, anche con il collega della scrivania accanto, in realtà i pacchetti di informazione transitano sulle dorsali perché vengono gestiti da applicazioni e dispositivi che risiedono centralmente.

Ho appena detto una serie di banalità. Ma sono banalità che sottintendono l’avvenuto completamento di una profonda rivoluzione nelle modalità con cui avviene lo scambio di informazioni all’interno delle reti locali e dalle conseguenze di cui forse molti non sono ancora perfettamente consapevoli. Ci si accorge di questo quando si osserva come sono realizzate molte dorsali di edificio, per le quali è stato ritenuto sufficiente mettere a disposizione un paio di coppie di fibra ottica per ciascun piano, magari scegliendo cavi di vecchia concezione, con fibre di tipo OM1 o OM2 fortemente limitate sul piano della larghezza di banda.

Ecco quindi che un aspetto estremamente importante è proprio quello del corretto dimensionamento del cablaggio ottico di dorsale, che negli edifici, anche di dimensioni modeste, deve sempre prevedere un ampio margine di scalabilità delle prestazioni rispetto al fabbisogno iniziale. Un classico errore di valutazione infatti sta nella perdita di prospettiva e l’adozione di criteri di progettazione basati sulle necessità del ‘giorno 1’, quando si sa già a priori che il fabbisogno di banda, la quantità di informazione da gestire, il numero e la varietà delle applicazioni e in ultima analisi la velocità operativa (bitrate) necessaria sono destinati a crescere inevitabilmente nel corso dei mesi e degli anni.

Un fondamentale passo per progettare e realizzare dorsali ottiche di edificio che supportino l’evoluzione e permettano, grazie alla loro lunga prospettiva di vita operativa, un vantaggioso ritorno dell’investimento iniziale consiste dunque nel dimensionamento sia del numero di fibre ottiche da destinarsi per ciascun segmento (p.es. verso ogni piano) che delle prestazioni. In concreto: è sconsigliabile, ed anche antieconomico, utilizzare cavi con meno di 8 fibre. Nella maggior parte dei casi un cavo a struttura tight con 8/12 o 24 fibre multimodali di tipo OM3 per ogni piano rappresenta il miglior bilanciamento fra investimento iniziale limitato, prestazioni elevate e lunga durata efficace del cablaggio, dal momento che una soluzione di questo tipo consente il supporto di una larghissima varietà di applicazioni, fino al 10Gigabit e oltre offrendo al tempo stesso la possibilità di gestire un certo grado di ridondanza e di scalabilità grazie alla disponibilità di 4, 6 o 12 canali (servono 2 fibre ottiche per canale) rispettivamente. A tutti gli effetti il recente standard IEEE 802.3ba prevede che le fibre OM3 supportino, in modalità parallela, i seguenti protocolli 40/100 Gigabit Ethernet su distanze fino a 100 metri: 40GBase-SR4 e 100GBase-SR10

Dorsali di edificio: quanto sono affidabili?

Nel caso però i cui fosse richiesto un livello elevato di ridondanza per consentire un supporto fisico alla fault tolerance della rete, sarebbe necessario fare qualcosa di più a livello di architettura. Un approccio molto praticato in casi come questo prevede l’allestimento di due percorsi di dorsale completamente indipendenti , per i quali cioè non ci si limita a duplicare il numero delle fibre ottiche e nemmeno i singoli cavi ma si predispone un sistema di passaggi / canalizzazioni secondario e ridondante. Questo tipo di soluzione, che può apparire a prima vista esageratamente impegnativa e costosa, in realtà può adattarsi abbastanza bene a molte situazioni anche non particolarmente critiche, ma nelle quali è ritenuta apprezzabile la disponibilità di un certo livello di resilienza dell’infrastruttura fisica. Per contenere i costi iniziali e rendere questa soluzione competitiva in un ampio ventaglio di casi si può progettare i cablaggio in modo da parzializzare i percorsi ridondanti, e pianificare l’utilizzo delle risorse di rete in modo tale da sfruttare l’abbondanza di fibra anche per consentire un migliore bilanciamento dei carichi di lavoro e per aggregare più canali al crescere delle richieste di prestazioni. In questo modi si può sfruttare l’infrastruttura ottica, anche nelle sue componenti ridondanti, durante tutto il suo arco di vita, con benefici per le prestazioni e la stabilità del sistema complessivo, e non soltanto in occasione di eventuali (e malaugurati !) guasti a qualche componente attivo o passivo.

Figura 5 – Un esempio di architettura delle dorsali di edificio completamente ridondante: lo stesso approccio può essere implementato anche in modo parziale, per bilanciare il rapporto tra beneficio e investimento

Abbiamo quindi una notevole libertà di scelta che ci permette nella maggior parte dei casi di adeguare l’architettura ridondante che abbiamo appena illustrato alle effettive esigenze ed al livello di criticità di ciascuna specifica situazione.

Dorsali di campus: a stella o ad anello?

Quando si parla di topologie di cablaggio molti sanno che cosa vuol dire distribuire i cavi a stella, ad anello a ‘bus’ o a ‘margherita’ (daisy chain topology) ma se ci soffermiamo un attimo sul significato concreto di questi termini ci accorgiamo che le nostre certezze tendono a sfumare e finiamo per chiederci qual è il confine fra l’uno e l’altro di questo approcci o addirittura, davanti ad uno schema d’impianto se si tratta di una struttura a stella o ad anello. Non ci credete ?

Proviamo allora a studiare lo schema del cablaggio di comprensorio illustrato in Figura 6, che rappresenta una soluzione molto utilizzata per realizzare questo tipo di infrastruttura.

Figura 6 – Struttura di dorsali di campus con piena ridondanza delle tratte: anello o stella ?

Certamente alla prima occhiata ci rendiamo subito conto che gli scavi, le canalizzazioni ed i passaggi dei cavi costituiscono una struttura ad anello che, partendo dall’edificio n.1 raggiunge in successione gli altri tre building del campus. Anche il cavo, nel nostro esempio una struttura loose multi-tubetto da 48 fibre ottiche complessive, viene steso e fatto passare attraverso il percorso pre-allestito e quindi forma un anello. Tuttavia le fibre ottiche, che costituiscono i nostri canali di comunicazione, non sono affatto disposte ad anello ma a stella ! Per la precisione, nell’esempio, abbiamo 12 fibre disposte a stella fra l’edificio principale (1) e ciascuno degli edifici secondari (2, 3, e 4) secondo un percorso destrorso; abbiamo anche 12 fibre disposte a stella fra l’edificio 1 e ciascuno degli altri edifici, ma secondo un percorso sinistrorso; infine abbiamo le rimanenti 12 fibre del cavo che sono effettivamente collegate ad anello.

Che cosa significa tutto ciò ? Che la risposta alla domanda “qual è la topologia con cui è stato realizzato questo impianto di campus ?” la risposta corretta è: dipende da quale livello prendiamo come riferimento !

Infatti con questo tipo di approccio, che personalmente apprezzo ed utilizzo molto volentieri, ho la possibilità di godere sia dei vantaggi in termini di robustezza e resilienza della topologia ad anello – se anche venisse accidentalmente tranciato l’intero percorso in un punto qualsiasi, tutti gli edifici continuerebbero ad essere serviti dallo stesso numero di fibre – che di razionalità e semplicità di gestione tipica della topologia a stella, la sola che presenta un unico punto centrale di amministrazione del cablaggio.

Ma i vantaggio di una soluzione di questo tipo non si fermano qui. Sempre restando all’esempio che abbiamo fatto, non è affatto detto che le 48 fibre del nostro cavo debbano essere impiagate in questo modo: intanto è veramente improbabile che in un infrastruttura che realizziamo oggi ci sia di qualche utilità un gruppo di fibre ad anello, quindi probabilmente le disporremo tutte in modalità stellare. E poi non siamo affatto vincolati a destinare lo stesso numero di fibre ottiche per ciascuno degli edifici: molto probabilmente nella realtà avremo esigenze differenziate per cui possiamo tranquillamente portare per esempio

  • 16 fibre all’edificio 2
  • 24 fibre all’edificio 3
  • 8 fibre all’edificio 4

e questo, notate bene, in entrambe le direzioni ! Continueremo perciò ad avere una doppia stella pienamente ridondante. Ma la flessibilità non si ferma qui. È presumibile, e chi conosce l’evoluzione della vita della reti dirà “inevitabile”, che presto o tardi ci saranno delle variazioni non soltanto delle tecnologie adoperate per le comunicazioni fra gli edifici (per esempio alcuni canali potranno passare da Gigabit a 10 Gigabit oppure da questo a 40 Gigabit Ethernet ) ma in generale muteranno anche i fabbisogni di banda passante complessiva degli edifici stessi.

Sarà tuttavia molto semplice assecondare tutte queste mutevoli e, nel loro dettaglio, imprevedibili esigenze future se nella pianificazione, progettazione e realizzazione di questa infrastruttura di campus abbiamo tenuto conto di alcuni accorgimenti essenziali:

  1. la scelta di fibre ottiche di qualità tale da supportare le evoluzioni tecnologiche; oggi non ha senso prendere in considerazione, per la realizzazione di dorsali di comprensorio del tipo di quella illustrata nell’esempio di Figura 6, un livello di prestazioni inferiore all’OM3 che, come abbiamo visto in precedenza, offre un’ampia garanzia verso applicazioni ad elevatissimo bitrate. Sarà però opportuno valutare l’impiego di fibre OM4, quantomeno nei casi in cui le distanze in gioco superino la soglia dei 300 metri e non sarà affatto fuori luogo prendere in seria considerazione l’affiancamento di alcune fibre di tipo monomodale.
  2. per garantire un tasso di attenuazione delle tratte ottiche, soprattutto di quelle che transitano attraverso un maggior numero di edifici, è praticamente d’obbligo adottare tecniche di splicing (giunzione) al posto della terminazione su connettori per rilanciare i collegamenti che proseguono verso un altro edificio. Così facendo si possono di fatto trascurare i contributi di attenuazione degli splice (se ben realizzati) mettendosi nelle condizioni di avere soltanto tratte ottiche con i 2 punti di interconnessione alle estremità.
  3. non bisogna dimenticarsi di lasciare un’adeguata ricchezza di fibra all’interno dei cassetti ottici, sia in corrispondenza delle fibre attestate su connettori, per l’utilizzo nell’edificio in cui si trovano, che di quelle che vengono giuntate per proseguire verso altri edifici. Soltanto in questo modo ci garantiamo la possibilità, oltre alle ordinarie considerazioni sulla manutenzione dell’impianto, di cambiare la destinazione di coppie di fibre quando se ne presenterà la necessità: in quel caso potremo tagliare giunzioni e terminare le fibre con i connettori per aggiungere canali alla postazione corrente, oppure viceversa.

Figura 7 – Scorta di fibra ottica in un vassoio porta-giunzioni

Mi permetto di sottolineare il fatto che, una volta di più, spendendo un po’ di più a livello di competenza progettuali e intelligenza applicata alla risoluzione di problemi, si riesce quasi sempre ad ottenere di più, talvolta molto di più al livello di performance (larghezza di banda, flessibilità d’impiego, semplicità di gestione, durata dell’infrastruttura, sicurezza e robustezza rispetto ad eventi imprevisti) riducendo allo stesso tempo i costi dell’investimento iniziale e, ovviamente, in misura assai più consistente i costi della gestione operativa e della manutenzione.

Come predisporre le dorsali di campus

Sebbene abbiamo già accennato a questo tipo di considerazioni a proposito delle dorsali di edificio, è importante riprendere il discorso a conclusione di questa breve discussione sulle dorsali di comprensorio perché il contesto è diverso sotto molteplici aspetti. Per incominciare la pianificazione e la progettazione di dorsali esterne comporta la valutazione di un numero eccezionalmente elevato di fattori, molti dei quali non sono minimamente da prendere in esame quando si opera all’interno degli edifici: fattori ambientali, inclusi quelli climatici, i rischi di fulmini, di attacchi di roditori; la presenza di altre infrastrutture nel sottosuolo; la composizione stessa del terreno e la sua orografia costituiscono elementi che il progettista non può ignorare e che possono influire in modo sostanziale sulle scelte che verranno effettuate. Le distanze in gioco che, non necessariamente ma tipicamente, possono essere di molto superiori a quelle con cui ci confrontiamo in ambito indoor. Ma soprattutto la necessità nella maggior parte dei casi di costruire e predisporre appositamente le sedi e gli eventuali elementi di contenimento (aperture, passaggi, canalizzazioni) per i cavi. Tutti questi fattori comportano una sostanziale differenza nell’approccio alla progettazione delle dorsali OSP, che si riflette in una serie di scelte che impattano fortemente sia sulla qualità che sui costi dell’infrastruttura.

Senza entrare nei dettagli che esulano dallo scopo di questo articolo, ritengo importante fornire alcuni elementi di costo che permettono di fare, almeno da un punto di vista qualitativo, delle considerazioni sulla scelta del cablaggio e del suo percorso in ambito OSP locale, in modo tale da sgombrare il campo da alcune delle variabili in gioco e semplificare, nella maggior parte dei casi (ma, attenzione, esistono molte situazioni che fanno eccezione !) il lavoro di dimensionamento del cablaggio ottico e di selezione dei componenti.

Esistono due modalità principali per par passare i cavi da un edificio all’altro nelle reti di campus:

  1. il passaggio sotterraneo
  2. l’interramento diretto

Nel primo caso è necessario predisporre, dopo aver effettuato i necessari scavi, una o più canalizzazioni o tubazioni nel terreno, interrotte da pozzetti di ispezione a distanze prestabilite dagli standard (p. es. ANSI/TIA/EIA-758-A, 2004) per consentire di frazionare le sollecitazione ai cavi durante la successiva fase di posa: in questo caso i cavi devono essere infilati nelle tubazioni sotterranee.

Il vantaggio principale di questo tipo di soluzione sta nella sua flessibilità di utilizzo: in qualsiasi momento successivo all’installazione, i cavi possono essere rimossi e sostituiti oppure affiancati da altri cavi che si possono aggiungere compatibilmente con il rispetto dei fattori di riempimento delle canalizzazioni. Il principale svantaggio sta invece nei costi iniziali di infrastruttura che rappresentano tipicamente fra l’80% e oltre il 90% del costo totale di ciascuna tratta. Da non trascurare nemmeno il fatto che i tempi (e quindi i costi) di installazione sono sensibilmente più lunghi anche per il fatto che occorre prestare molta attenzione in fase di posa a non superare i valori ammessi per le forze di trazione sui cavi ed i raggi minimi di curvatura.

Nel caso invece di interramento diretto dei cavi la predisposizione dell’infrastruttura risulta notevolmente semplificata, perché le fasi si preparazione si riducono alle attività di scavo e poi di ricopertura e compattamento del terreno – operazioni che devono comunque essere effettuate anche quando si usano tubazioni sotterranee. Il costo di preparazione è quindi di molto inferiore al caso precedente ed a questo vantaggio dobbiamo sommare il fatto che anche l’installazione del cavo è molto più semplice e veloce: in pratica la fibra viene posata all’interno del solco, per cui si riducono drasticamente anche i rischi di danneggiamento dei cavi.

L’unico vero grande svantaggio dell’interramento diretto dei cavi risiede nel fatto che una volta terminata l’installazione non è più possibile in alcun modo intervenire sul cablaggio, a meno di sostenere nuovamente e per intero i costi di scavo.

Quali cavi per le dorsali OSP

Per fortuna c’è la possibilità di aggirare l’ostacolo e, fatte alcune premesse che nella maggior parte delle situazioni non ci impongono alcun compromesso al ribasso, molto spesso possiamo metterci nelle condizioni di scegliere la soluzione più pratica e meno laboriosa, interrando i cavi di dorsale direttamente nel terreno. Quali sono i presupposti per poterlo fare ? Semplicemente reinvestendo una frazione del risparmio che otteniamo evitando l’infrastruttura sotterranea e destinandola ad una sovrabbondanza tale di fibre all’interno dei cavi da scongiurare per un periodo estremamente lungo (20 anni o più ?) la necessità di intervenire su di essi. Per fare due conti, semplificati ed approssimati ma non troppo distanti dalla realtà, abbiamo mediamente questa situazione: il costo di un cavo ottico loose da esterno adatto per l’interramento diretto costa, al metro lineare, da 5 a 10 volte meno della predisposizione con tubazioni sotterranee e pozzetti; il costo delle fibre ottiche all’interno di un cavo loose armato da esterno incide per una frazione relativamente piccola sul costo dell’intero cavo. Risulta evidente che le fibre ottiche, proprio l’elemento che costituisce il canale di comunicazione e determina le prestazioni, hanno un peso quasi trascurabile sul costo complessivo di un infrastruttura esterna. Ma allora se, alla luce delle stime effettuate per i dimensionamento delle tratte ottiche scegliamo di adottare dei cavi che contengano il doppio delle fibre multimodali, tipicamente OM3 o OM4 che avevamo ritenuto sufficienti con adeguati margini cautelativi ed in più un certo numero di fibre monomodali, siamo nelle condizioni di avere la ragionevole certezza che per tutta la vita operativa dell’infrastruttura di campus non avremo più alcuna necessità di intervento.

Per esempio, se sulla base dei criteri raccomandati dalle normative tecniche, dalle regole della progettazione allo stato dell’arte e dalla nostra esperienza, valutiamo sufficienti ed ‘abbondanti’ 12 fibre otticheOM3 per ciascuna tratta, applicando il ragionamento appena illustrato dovremmo ordinare un cavo con 24 fibre OM3 e, diciamo, 12 fibre single-mode.

L’esperienza ci dice che in moltissimi casi questo ragionamento lo possiamo fare; con questa scelta strategica in un colpo solo otteniamo dei risparmi che possono arrivare a oltre il 50% dei costi complessivi per l’infrastruttura esterna, eliminando per giunta l’ipotesi di dispendiosi interventi a distanza di qualche anno, e beneficiando da subito e per tutta la vita dell’impianto, che sarà presumibilmente molto lunga, di un’infrastruttura con eccezionali caratteristiche di larghezza di banda, numero e diversificazione dei canali, flessibilità e versatilità di utilizzo … al di là di ogni ragionevole dubbio, perché le fibre monomodali incorporate nella dorsale spostano l’orizzonte di impiego di alcuni ordini di grandezza, o se vogliamo per alcune generazioni di evoluzione delle applicazioni di rete.

Conclusioni

Abbiamo visto, se pur rapidamente, che sfruttando le potenzialità combinate dell’architettura e topologia standard del cablaggio strutturato e delle tecnologia attualmente disponibili sul mercato dei componenti ottici per le reti locali, è possibile, più spesso di quanto non si pensi, ottenere una maggiore capacità, flessibilità ed affidabilità delle infrastrutture e non a costi superiori ma al contrario potendo contare su consistenti risparmi.

“… non si chiama MAGIA, ma RAZIONALIZZAZIONE ! … “