Da diverso tempo è in atto una vera e propria campagna martellante tesa a diffondere urbi et orbi il messaggio che poiché in Italia, rispetto alla maggior parte delle nazioni europee ed anche alcune importanti altre nazioni, i limiti di legge dell’esposizione ai campi elettromagnetici sono notevolmente ed ingiustificatamente più bassi, ciò non permetterebbe un completo ed ottimale sviluppo delle reti di telecomunicazioni wireless, nello specifico riferendosi alle reti di telefonia mobile, FWA ed il 5G in particolare. Urgerebbe perciò adeguare ed innalzare immediatamente questi limiti di legge onde permettere finalmente un adeguato sviluppo degli impianti di telecomunicazione e un miglioramento dei servizi.
I limiti massimi che la legge impone per quanto riguarda i campi elettromagnetici ( o “c.e.m.”) sono tesi a proteggere la popolazione esposta dagli effetti nocivi sulla salute che verrebbero provocati da livelli troppo alti.
Non è qui mia intenzione né ambito di competenza entrare nel merito medico-scientifico degli effetti biologici e sulla salute delle esposizioni ai c.e.m.. Non è però inutile notare che parlando di livelli di esposizione globali, con l’avvento delle telecomunicazioni wireless a partire dagli anni 50 del secolo scorso si è avuto un incremento esponenziale dei campi elettromagnetici artificiali rispetto al fondo naturale che fino a quell’epoca e per millenni è stato il solo ad essere presente, e per alcune bande di frequenze – tipicamente quelle utilizzate per la telefonia cellulare – ci stiamo avvicinando, complessivamente, ad una esposizione pari al limite di sicurezza stabilito dall’ ICNIRP (International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection).
Inoltre sebbene questi limiti, unitamente a quelli della FCC (Federal Communications Commission) statunitense o altri analoghi, sono lo stato dell’arte attuale per quanto riguarda le linee guida per la normativa protezionistica sui c.e.m., nondimeno esistono tutti una serie di seri studi indiziari su effetti sanitari ancora da ben determinare, in particolare quelli per esposizioni per periodi prolungati, che però – finora – non si sono coagulati in evidenze sufficienti per essere recepiti dalle suddette linee guida. Ma nondimeno ci sono e non andrebbero ignorati a priori.
Tutto questo solo per dire preliminarmente che prima di parlare di “innalzamenti dei limiti di legge” per partito preso (ossia, come vedremo, il partito del risparmio sui costi delle infrastrutture) occorrerebbe per lo meno un minimo di prudenza e di riflessione supplementare.
Detto ciò, messo da parte il discorso sanitario, vediamo invece più in dettaglio se dal punto di vista tecnico e normativo per quanto riguarda la valutazione del rischio da c.e.m. le cose stanno effettivamente così, ovvero non c’è altro da fare che innalzare questi limiti, adeguandoli a quelli più elevati generalmente adottati altrove, se si vogliono avere delle reti di comunicazioni adeguatamente performanti.
Vediamo un po’ più in dettaglio quali sono dunque questi limiti di campo elettromagnetico in Italia, la cui unità di misura, per le frequenze in gioco nei sistemi di telecomunicazione, è espressa in “Volt diviso metro” ( V/m):
Iniziamo col dire che quando si confrontano i limiti italiani più stringenti con quelli dell’ICNIRP (che detto per inciso, sono limiti “consigliati” ma poi ogni Stato legifera in autonomia), si parte già da una falsità concettuale. Infatti mentre l’ICNIRP riconosce e prende in considerazione, ai fini della determinazione di questi limiti, esclusivamente effetti a breve termine all’esposizione c.e.m, ossia quelli pressochè immediatamente percepibili, che secondo l’ICNIRP si limitano al riscaldamento corporeo, i limiti più restrittivi italiani (ma non solo italiani: anche la Svizzera, la Polonia, la Russia ed altre nazioni adottano limiti simili) sono intesi a proteggere dai cosiddetti “effetti a lungo termine”, ossia quegli effetti nocivi che potrebbero sorgere, secondo alcune ipotesi, con esposizioni più basse ma prolungate nel tempo (anni o decenni). Ecco anche perché il limite più restrittivo, il valore di attenzione, ovvero i famosi 6 V/m, si applica esclusivamente ai luoghi con permanenza prolungata di persone.
Quindi già partendo dal confronto tra il nostro limite più restrittivo e quello ICNIRP si inizia confrontando le mele con le pere.
Ad ogni modo, una volta fissati i limiti di riferimento per una valutazione dell’impatto elettromagnetico, quali che siano, occorre qui fare una breve descrizione del processo di valutazione dei valori di c.e.m. per verificare la conformità a questi limiti in zone esposte ai campi generati da impianti di telecomunicazione con le loro antenne.
Cercando di non essere troppo prolissi o tecnici, diremo semplicemente che la valutazione avviene secondo due metodiche che devono venire applicate contemporaneamente:
  1. la valutazione previsionale, ovvero partendo dai dati tecnici degli impianti, si calcola il valore massimo del c.e.m. prodotto nella zona da valutare;
  2. la misura strumentale, ovvero si misura il c.e.m. già presente (o per aggiungerlo a quello già calcolato al punto precedente, oppure in valutazioni di conformità ai limiti se ci sono dei dubbi).
In particolare, la valutazione previsionale dà come risultato un valore di caso peggiore, difficilmente raggiungibile nella realtà. Infatti, per loro natura, le stazioni radio base di telefonia mobile emettono un segnale elettromagnetico che ha una intensità proporzionale al traffico istantaneo, quindi le emissioni non sono costanti nel tempo. Per tenere conto di questo fatto, sono stati introdotti alcuni coefficienti di attenuazione nel calcolo del c.e.m. La valutazione previsionale dà quindi un valore a pieno regime e a traffico massimo.
C’è da considerare un altro fattore estremamente importante: poiché l’intensità del c.e.m. calcolato ovviamente dipende dalla potenza di emissione del segnale emesso dalla Stazione Radio Base che si considera facendo i calcoli, più la potenza dichiarata in progetto è elevata e più il c.e.m. trovato con questi calcoli sarà alto.
Ordunque, non è un mistero, tra gli addetti ai lavori, che tutti gli operatori, in quasi tutte le circostanze, dichiarano e mettono in progetto delle potenze di emissione superiori a quelle effettivamente utilizzate.
Questo è perfettamente legale, e si fa per riservarsi in futuro la possibilità di aumentare la potenza senza dover richiedere i permessi e inoltre – probabilmente – anche per motivi di concorrenza (invero sleale), poiché laddove risultano sulla carta valori c.e.m. già vicini al limite di legge, non è possibile per altri operatori aggiungere ulteriori impianti / sorgenti di emissione.
La norma tecnica prevede poi che a questi valori calcolati vadano sommati quelli misurati (in somma quadratica media, per la precisione), e il risultato è ciò che deve essere confrontato con i limiti di legge.
E’ chiaro dunque che se ho sovrastimato (spesso di parecchio) il campo elettromagnetico calcolato, vedrò un valore molto vicino al limite di legge quando in realtà il c.e.m. reale è ancora piuttosto basso.
Dunque:
punto 1: prima di parlare di innalzamento dei limiti elettromagnetici, occorre esplicitamente vietare la richiesta di potenza di trasmissione non utilizzata.
Vediamo ora di analizzare meglio l’affermazione che limiti c.e.m. più bassi comporterebbero connessioni più lente (espressione popolare per dire velocità di throughput più bassa)
Iniziamo col dire che avere dei limiti c.e.m. più alti comporterebbe la possibilità di coprire un certo territorio con un numero minore di Stazioni Radio Base che irradiano un segnale più potente.
Questo è abbastanza intuitivo. Quello che non è intuitivo però è il fatto che ciò produrrebbe due effetti:
1.campi elettromagnetici molto più elevati nelle vicinanze di un impianto;
2.segnale molto più debole ai confini del territorio servito dall’impianto.
Segnale più debole significa inesorabilmente velocità di connessione minore.
Quindi avremmo, diciamo per un ampio territorio, una certa porzione limitata alle vicinanze della Stazione Radio Base con velocità massima, e poi man mano zone con velocità decrescente fino alla perdita del segnale o all’ handover (ossia la comunicazione viene stabilita con un’altra Stazione Radio Base, sempre alla velocità minima poiché siamo ai confini della zona servita da quest’ultima).
Inoltre c’è da tenere presente un altro importante fattore: il flusso dati/voce non nasce o termina nella Stazione Radio Base, ma quest’ultima deve essere poi connessa alla “rete generale” secondo uno schema gerarchico, con collegamenti ad alta capacità che vengono detti “di dorsale”, come una autostrada che supporta un grande flusso di veicoli che poi via via si instradano per le strade sempre più secondarie.
Ebbene poiché ogni Stazione Radio Base generalmente non può essere collegata direttamente ad una dorsale, la quantità di dati che può afferire ad essa è limitata, per cui se su un territorio ci sono poche Stazioni a grande potenza (grazie al provvidenziale innalzamento dei limiti), il traffico totale dovrà essere spartito tra tutti gli utenti della zona, quindi sarà più scarso che se invece avessimo molte Stazioni Radio Base, a potenza ridotta e che servono porzioni più piccole, ma ogni utente di quella porzione può usufruire di una velocità di connessione più elevata.
E’ la filosofia delle cosiddette “microcelle” (o comunque celle di dimensioni più ridotte, dove per “cella” si intende la zona coperta e servita da una particolare trasmittente, da cui il nome “cellulare”) in contrapposizione ai cosiddetti “macrositi”, ovvero quelli classici che vediamo sui tetti o sui pali, e che possono coprire zone più ampie fino a diversi km quadrati. Ovviamente in ambito rurale o per piccoli paesi con un numero di utenti limitati, questo discorso è abbastanza ininfluente, ma negli agglomerati urbani o nelle grandi città questo approccio è l’unico capace di garantire alte velocità di connessione.
Un territorio che vede la dislocazione di molte microcelle, rispetto a quello dove c’è una (o poche) Stazioni Radio più potenti, vede dunque un c.e.m. mediamente più basso e uniformemente distribuito ( e dunque senza alcun bisogno di avere limiti più elevati) e soprattutto con velocità di connessione più elevate.
Inoltre, detto per inciso, un dispositivo mobile che deve connettersi con una Stazione Radio Base lontana, emetterà molta più potenza radioelettrica (e dunque l’utente verrà più esposto) di quella che emette un dispositivo che deve agganciarsi ad una microcella, ossia una Stazione vicina e a bassa potenza.
Dunque:
punto 2: non è affatto vero che limiti più bassi provocano connessioni più lente, ma in un certo senso è esattamente il contrario.
Esaminiamo per ultimo l’affermazione secondo cui per colpa dei bassi limiti c.e.m. “la nostra rete di telecomunicazioni è più lenta della media europea, piazzandosi fra gli ultimi della classe“.
Facendo preliminarmente notare che le reti di telecomunicazioni non sono certamente tutte wireless, e che il problema dello scarso piazzamento dell’Italia (vedere l’indice DESI) si riferisce a molteplici fattori, per non ripetermi rimando ad un mio precedente articolo una disamina più esaustiva sulle cause molto italiane per cui la nostra ICT versa in uno stato così miserevole, e che non hanno nulla a che fare con i limiti elettromagnetici.
Del resto anche le ARPA, ossia le Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale, deputate alla valutazione e al rilascio dei pareri di conformità per le emissioni elettromagnetiche, in una nota rilevano che “le Agenzie per l’ambiente operanti in Italia ritengono che, senza entrare in considerazioni di tipo sanitario, la realizzazione del 5G possa avvenire anche con il mantenimento degli attuali limiti di legge, attraverso la definizione di criteri progettuali efficienti, come, ad esempio, il corretto dimensionamento e posizionamento degli impianti sul territorio“.
Abbiamo visto dunque, dati alla mano, come tutte le argomentazioni portate per presentare i limiti c.e.m. più cautelativi come causa del ridotto funzionamento delle reti e dei servizi siano in realtà del tutto pretestuosi ed infondati.
Ciò nondimeno vengono presentati quasi in ogni dove come dogmi da prendere per buoni, e non passa giorno che l’innalzamento dei limiti venga presentato come ormai necessario ed inderogabile.
Chiediamoci allora perché.
Risulta chiaro, da quello che abbiamo visto, che un maggior numero di infrastrutture e soprattutto di Stazioni Radio Base, ovviamente se correttamente progettate, se da un lato assicurano campi elettromagnetici più bassi e performances più elevate, dall’altro ovviamente comportano costi più elevati, sia perché ci sono più impianti da costruire (Stazioni Radio Base e reti di servizio connesse), sia perché occorre più lavoro (dunque più tempo e soldi) per la richiesta dei relativi permessi, autorizzazioni, ecc. e naturalmente per la loro progettazione.
Infatti c’è anche da considerare che limiti c.e.m. più elevati permettono una progettazione degli impianti molto più semplice e di tipo seriale, laddove progettare un impianto che rispetti limiti più stringenti, ma che sia al tempo stesso funzionale per gli obiettivi di copertura, richiede maggiore perizia progettuale e personale più esperto (e costoso).
Allora:
punto 3: l’ innalzamento dei limiti c.e.m. ha poco a che fare con la qualità dei servizi di connessione, ma molto a che fare con i costi di implementazione delle reti.
Non si vuole qui sminuire il fattore economico che ha sicuramente la sua importanza (specialmente per chi investe), ma resta comunque un interesse di parte che deve essere fortemente bilanciato con quello generale, specie quando si parla di principi precauzionali e di effetti sanitari che riguardano l’intera popolazione.
Ora, considerando quanto succede nel mercato delle Telecomunicazioni nostrano, dove una enorme fetta del giro del fatturato va a perdersi in sterili commissioni per lunghe catene di subappalti, se si tratta di questioni economiche e di impiego di risorse forse prima di tutto sarebbe da prendere seriamente in considerazione l’idea di accorciare o eliminare le catene improduttive e investire di più in infrastrutture o in servizi progettuali reali.
Tutto ciò ci porta inevitabilmente alla seguente conclusione:
punto 4: la evidente insistenza per l’innalzamento dei limiti c.e.m. in Italia origina esclusivamente da particolari motivi di convenienza economica di alcuni soggetti, a discapito del principio di precauzione ma anche della qualità delle reti, e quindi dell’interesse generale.
In conclusione, prima (o meglio ancora: invece) di pensare ad innalzare i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici in Italia, buttando a mare una delle normative più cautelative ed avanzate per la tutela della salute, è possibile apportare tutta una serie di cambiamenti normativi e di azioni di ottimizzazione delle risorse per poter avere reti e telecomunicazioni più performanti e redditizie e nello stesso tempo senza intaccare un principio di tutela sanitaria, specie in un periodo dove si inizia a riconsiderare con occhio più attento il crescente livello di esposizione ai c.e.m., ed altre nazioni con limiti più elevati stanno persino pensando di imitarci.

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Francesco Pugliese è Ingegnere Elettronico e delle Telecomunicazioni, libero professionista e titolare di PuglieseProgettazioni (www.puglieseprogettazioni.it)

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