Smart city, un termine che da tempo rimbalza da una conferenza ad un’altra, da un titolo ad un altro, quando si accenna a qualche progetto che vede la tecnologia applicata all’ambiente urbano. Ogni implementazione sembra conferire una certa intelligenza alla città di turno. In effetti una smart city è una città che fa uso di tecnologie, tipicamente digitali, per migliorare i servizi e la vita del cittadino, tuttavia l’uso delle tecnologie digitali di per sé non è una condizione sufficiente, necessaria, ma non sufficiente a definire una città smart.
Facciamo qualche passo indietro e cambiamo scenario.
I responsabili IT, gli analisti e in generale il personale che opera nel settore IT, in particolare nell’area software, da quando la digitalizzazione ha preso piede nelle aziende sono stati protagonisti di lunghi e difficili progetti di informatizzazione che in molti casi hanno cambiato il volto delle organizzazioni.
Tutti i settori aziendali un po’ alla volta, sono stati interessati da processi di questo tipo, basti pensare all’aggiornamento del sistema di ERP, all’informatizzazione del sistema di Protocollo dei documenti o all’evoluzione del CRM, tanto per citarne alcune.
Lo staff IT spesso si è seduto accanto ai responsabili di altri domini per raccogliere esigenze, requisiti, sviscerare i diversi processi e tradurre queste indicazioni in specifiche.
L’esperienza ci insegna che i problemi sorgono quando i dati raccolti non sono sufficienti e i referenti di dominio non sono in grado rappresentare in modo sufficientemente chiaro e organico i processi e le necessità. Condizione questa, specie in passato, non così rara.
L’idea generale acquisita nelle aziende era che l’applicazione di soluzioni informatiche potesse risolvere ogni tipo di problema e ciò ha messo in difficoltà il personale IT che doveva dare risposte convincenti a problemi e processi che in effetti non conosceva e non controllava.
In queste situazioni, nonostante l’oggettiva difficoltà, grazie all’abitudine all’algoritmo dell’IT e tanto lavoro, i dipartimenti dell’Information Technology hanno acquisito una grande conoscenza dei processi aziendali tanto da suggerire loro stessi modelli e soluzioni in alcuni casi adottati integralmente dal management.
Negli anni 2000 l’approccio era di affidare alla tecnologia informatica la soluzione di qualsiasi problema. Oggi la percezione appare più equilibrata, un po’ per la diffusione della cultura digitale un po’ perché sui processi le aziende hanno lavorato con una certa attenzione.
Questi anni di dematerializzazione hanno mostrato come l’informatizzazione di un processo non particolarmente a punto, tende ad evidenziare ogni piccolo problema prima quasi invisibile. In un processo gestito manualmente è infatti possibile intervenire su imprevisti e intoppi in modo relativamente semplice deviando il processo dal flusso inizialmente previsto. Se il problema si ripete per un difetto strutturale, è possibile che le soluzioni, con la consuetudine, diventino parte integrante del processo stesso e non siano più percepite come un’anomalia. Oggi è ben chiaro che l’informatizzazione di un processo non dovrebbe consistere in una semplice traduzione “analogico/digitale” del flusso, tuttavia questo è stato il primo approccio generalmente adottato.
Questo quadro, apparentemente slegato dalle problematiche delle smart city, ci permette di apprezzare una dinamica che si sta riproponendo con insistenza proprio nei progetti di città intelligenti. L’agglomerato urbano è infatti un sistema complesso che in questi ultimi anni ha mostrato non poche difficoltà a rinnovarsi e adattarsi ai sempre più rapidi mutamenti socio/economici ed ambientali. Sul fronte tecnologico l’arsenale di strumenti a disposizione è senza dubbio allettante, reti, sensori, software, Artificial Intelligence (AI), Internet of Things (IoT), un insieme di potenti password che forniscono un menù molto ampio di opportunità che fanno intravedere agli amministratori delle grandi città scenari e prospettive di un certo interesse.
Tuttavia come abbiamo osservato in ambito aziendale, la tecnologia può aiutare moltissimo ma è altrettanto vero che si tratta solo di uno strumento ed è forse nuovamente sbagliato riversare su di essa l’attesa di ogni soluzione.
La città è un ambiente complesso che mette in stretta relazione molte esigenze differenti, a volte direttamente in contrasto tra loro.
Esigenze sociali, lavorative, commerciali, di trasporto e sicurezza devono essere amministrate, coordinate e governate sotto l’incombente minaccia dell’inquinamento atmosferico e del rispetto ambientale.
Un compito difficile, che può trovare nell’applicazione massiva di strumenti hardware e software un buon alleato.
In effetti tutti i nuovi strumenti possono aiutare, ma sembra piuttosto difficile come possano rappresentare la soluzione alle criticità degli agglomerati urbani.
La definizione di Smart City tratta da Wikipedia recita: “La città intelligente (dall’inglese smart city) in urbanistica e architettura è un insieme di strategie di pianificazione urbanistica tese all’ottimizzazione e all’innovazione dei servizi pubblici così da mettere in relazione le infrastrutture materiali delle città «con il capitale umano, intellettuale e sociale di chi le abita» grazie all’impiego diffuso delle nuove tecnologie della comunicazione, della mobilità, dell’ambiente e dell’efficienza energetica, al fine di migliorare la qualità della vita e soddisfare le esigenze di cittadini, imprese e istituzioni “, dobbiamo quindi aspettarci una smart city come un ambiente dove il cittadino vive un livello di armonia superiore con il contesto urbano grazie all’adozione di tecnologie digitali e strumenti organizzativi adeguati.
Se esaminiamo ad esempio il traffico urbano privato, uno dei problemi più complicati da affrontare per gli amministratori, possiamo iniziare a fare qualche riflessione sull’efficacia degli interventi messi in campo.
L’esigenza ormai globale di ridurre il traffico automobilistico nelle città è probabilmente al primo posto dell’agenda di ogni primo cittadino. Nel corso degli anni sono stati presi provvedimenti di ogni tipo orientati a limitare l’uso delle auto private, alcuni dei quali ampiamente diffusi: ZTL, riduzione dei parcheggi e tariffe sempre più alte, blocco della circolazione a molte categorie di veicoli, interventi sulla viabilità a volte improbabili, restringimento delle carreggiate dedicate alle auto a favore di piste percorribili con ogni mezzo oggi disponibile. È stato sperimentato di tutto. Le esigenze dei cittadini non sempre (le abitudini dei cittadini cambiano a seconda della fase in cui si trovano: giovani coppie, single, studenti universitari, famiglie con bimbi piccoli, ecc.) coincidono con le necessità del tessuto urbano di riduzione del traffico, dell’emissione di polveri sottili, della riduzione del rumore. Ed è per questo che il bilancio, nonostante gli sforzi di tutti, fatica ad essere positivo.
Su questo tema la sensibilità di un cittadino attento può cogliere un certo dispiego di tecnologie finalizzate al controllo automatico e alla gestione dei varchi delle zone vietate o a traffico limitato. Il loro funzionamento è spesso eccellente ma non è facile da percepire come uno strumento utilizzato “[…] al fine di migliorare la qualità della vita e soddisfare le esigenze di cittadini, imprese e istituzioni […]”.
È necessario anche sottolineare che non siamo sempre di fronte a cattive abitudini di fronte alle quali, è vero, un po’ di disagio e pazienza possono aiutare.
Le famiglie in realtà si trovano a lottare quotidianamente contro tempo, traffico, divieti e telecamere, per esigenze ragionevoli e in qualche modo dettate dall’assetto sociale in cui viviamo. Il quadro complessivo è una sorta di battaglia con i cittadini e le loro esigenze da un lato, e vincoli di ogni genere imposti dagli amministratori dall’altro. Un contrasto che difficilmente fa percepire la città un ambiente che migliora la qualità della vita. Le iniziative sembrano essere impiegate prevalentemente per gestire i divieti e la raccolta delle infrazioni. Una città percepita forse più come furba che intelligente. Limitarsi solo ad adottare le tecnologie per ridurre/controllare la mobilità dei cittadini non può essere un modello efficace di smart city che per altro smart non è.
La sola lettura della definizione chiarisce senza dubbi quanto si è lontani. Certo non bisogna dimenticare la complessità del problema e che tentativi ed esperimenti non possono che rappresentare un’esperienza utile.
I cittadini sono culturalmente favorevoli ad avere città più verdi, più silenziose, dove si respira aria pulita, dove non è necessario passare ore in auto per spostarsi. Questi principi sono condivisi da molti, moltissimi. Forse solo una piccola minoranza è oggi poco sensibile all’urgente esigenza di rispettare l’ambiente. Tutti sono d’accordo sui principi, i problemi emergono quando si tratta di implementarli.
Alla domanda se vorreste avere molto verde intorno a casa, alberi, prati, fiori, fontane, ecc. probabilmente la stragrande maggioranza degli interpellati sarebbe favorevole. Se per ottenere questo ambiente ideale si dovessero però eliminare molti dei posti auto disponibili, o bloccare la circolazione delle auto, ecco che forse una buona percentuale inizierebbe ad avere dei dubbi sulla risposta. Una parte non trascurabile probabilmente non sarebbe più favorevole. Valuterebbe infatti le proprie esigenze più importanti rispetto al piacere di un ambiente più gradevole.
In questo tipo reazione può esserci una parte di prevaricazione personale rispetto al bene comune, un uso dell’auto privata spesso eccessivo, ma ci sono anche riflessioni di persone che devono far fronte agli impegni quotidiani. Pensiamo solo a chi ha figli in età scolare. La scuola, le attività formative e ricreative extra come lo sport, la musica, ecc. Un inferno di spostamenti continui per la città ogni giorno con tempi risicati per gli spostamenti, senza contare che i genitori lavorano.
L’implementazione è sempre molto difficile anche su principi ampiamente condivisi, ed è per questa ragione che la contrapposizione tra cittadino e vincoli urbani è uno scontro che non può avere vincitori.
Necessità ambientali contro esigenze quotidiane hanno direzioni quasi opposte.
Quello del traffico è tuttavia solo uno dei problemi, l’inquinamento prodotto dal riscaldamento delle abitazioni, forse è ancora più importante, lo scarso impiego di energie rinnovabili nei centri urbani, la sicurezza, l’economia.
La riduzione dell’incidenza delle attività umane sull’ambiente e l’attuale impostazione sociale non sembra facilmente realizzabile in tempi adeguati.
Alcune iniziative hanno però sottolineato come il concetto di smart city può essere sviluppato con una visione più ampia dell’applicazione della singola tecnologia.
A Friburgo ad esempio, si stanno ridisegnando i quartieri in funzione di modelli energetici a basso impatto, con ampio utilizzo di sistemi di co-generazione e fonti energetiche rinnovabili.
Si cerca di costruire un ambiente che richiede meno spostamenti ai cittadini con servizi di svago culturale e sportivo più vicini, quartieri collegati in modo efficiente con mezzi pubblici alle altre aree urbane e aree sicure per il parcheggio delle auto private in prossimità dei collegamenti pubblici.
Le tecnologie sono ampiamente utilizzate ma sono al servizio di un modello sociale urbano disegnato in modo più coerente con le esigenze del territorio.
Forse iniziare a modellare le città e la società secondo il criterio di permettere alle persone di muoversi meno, o quantomeno non tutti nello stesso momento, può essere un primo passo ed un esempio da seguire. Lo smart working in prima fila può aiutare moltissimo, ma anche servizi efficaci di quartiere come piscine, campi sportivi, ecc. possono contribuire in modo importante.
Le città vanno forse ripensate senza astronavi od oggetti strani ma più semplicemente in modo più trasversale dove il vero protagonista non è la tecnologia in sé, ma il modello sociale.
Nella maggior parte dei progetti solo una parte del problema sembra affrontata in modo sufficiente, tanto che il sentimento del cittadino non è normalmente di grande armonia con la città.
Il desiderio di vivere in una città accogliente, in un ambiente che riesca a coniugare nel modo migliore le diverse esigenze non è però nuovo, infatti già dal rinascimento c’è stata attenzione all’idea della città perfetta.
Oggi le chiamiamo smart, un tempo le chiamavano in modo più poetico, ideali.
Il dipinto riprodotto in Fig. 2, è stato intitolato a posteriori la città ideale ed è un ottimo manifesto del concetto. L’autore dell’opera non è certo, alcuni storici attribuiscono il lavoro a Piero della Francesca mentre altri a Fra Carnevale, figura meno conosciuta ma altrettanto rilevante del periodo, infatti è stato anche maestro di Donato Bramante che iniziò la sua carriera come pittore e divenne in seguito più noto come architetto. Il dipinto trasmette un sottile senso di benessere che ancora oggi gratifica l’osservatore per la stesura pittorica ma soprattutto per le caratteristiche dell’insieme, l’uso del rapporto aureo, le particolari proporzioni geometriche utilizzate, la prospettiva delle forme che richiamano delicatezza e armonia.
Sebbene non siano rappresentate figure umane, è chiaro che non si tratta di una città abbandonata, è infatti possibile cogliere la presenza dell’uomo attraverso piccoli elementi. La porta del tempio socchiusa, le finestre aperte, piante e fiori sui davanzali, sono segnali che testimoniano che si tratta di una città viva con una presenza umana molto, molto discreta.
L’armonia generale richiama la teorica definizione di smart city, nella staticità del dipinto tutto sembra infatti muoversi e integrarsi con semplicità, senza tensioni.
Le sensazioni non sono certo quelle che si possono attendere oggi da una città, tuttavia l’idea di fondo, con le dovute proporzioni è ancora oggi valida.
Da quanto abbiamo potuto osservare finora, concludendo questa breve serie di riflessioni, possiamo dire che la città intelligente è legata strettamente alla società, alla sua organizzazione, ai vincoli non scritti che ne determinano le dinamiche positive e negative.
La città intelligente è quindi una questione meno tecnologica e più di organizzazione sociale il cui assetto ed efficacia può essere potenziata attraverso le tecnologie digitali.
È possibile che le smart city non possano esistere o che esistano solo come prodotto di una smart society. Una società dove lavoro, economia e sicurezza a poco a poco si trasformano e plasmano abitudini e comportamenti fino a stabilire un nuovo equilibrio. Uno stile di vita non in contrapposizione ma in armonia con l’ambiente e le necessità del pianeta, un nuovo stile molto utile anche agli abitanti delle città, oggi troppo abituati alle tensioni e alle contrapposizioni.
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